Il Dialogo sui due Massimi Sistemi del Mondo

Il Dialogo, pubblicato a Firenze con un parziale imprimatur ecclesiastico, dopo laboriose trattative con Roma, ha lo scopo di difendere, mediante opportune argomentazioni, le teorie copernicane. E’ impostato sotto la forma di dibattito, diviso in quattro giornate, fra tre personaggi creati parzialmente dalla fantasia di Galileo. Due di questi, Filippo Salviati e Giovanfrancesco Sagredo, si riferiscono a figure effettivamente esistite e scomparse da pochi anni. Il primo è il difensore ufficiale delle tesi copernicane, mentre il secondo, nobile veneziano colto e liberale, ben disposto ad accettare le nuove idee, è una sorta di moderatore, posto fra Salviati ed il terzo personaggio, di pura fantasia, un certo Simplicio, sostenitore agguerrito di Aristotele. Il nome di quest’ultimo è già di per sé un chiaro indizio della tattica galileiana, volta a distruggere gli avversari, sotto la copertura dell’ossequio formale. Simplicio, pur essendo stato uno dei più celebri commentatori di Aristotele, manifesta nel nome la chiara allusione alla semplicità di spirito. Galileo utilizza i due scienziati come portavoce dei due massimi sistemi del mondo, cioè delle due teorie che in quel periodo andavano scontrandosi. Il terzo interlocutore rappresenta invece il discreto lettore, l’intendente di scienza, colui a cui è destinata l’opera: interviene infatti nelle discussioni chiedendo delucidazioni, contribuendo con argomenti più colloquiali, comportandosi come un medio conoscitore di scienza.

La scena del Dialogo, è palazzo Sagredo, a Venezia. Nel proemio, indirizzato al discreto lettore, il tono moderno usato da Galileo, unito all’uso della lingua italiana, testimonia un modo di comunicare ben più sciolto di quello in uso nel mondo accademico tradizionale. Ritorna in esso un argomento già utilizzato precedentemente: “… E’ mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa averne immaginato la diligenza oltremontana …” Questa frase punta sull’orgoglio nazionale, coniugato, però ad un’accorta allusione alle idee del pontefice: “… Il rimettersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario solamente per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di quant’altri ci abbia pensato, ma, quando altro non fusse, da quelle ragioni che la pietà, la religione, il conoscimento della divina onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell’ingegno umano, ci somministrano …” La sua tattica ossequiosa cerca di esprimere con furbizia la volontà e l’esigenza di dimostrare la sua verità, senza mai però accusare apertamente le ferme convinzioni della Chiesa.

La prima giornata è dedicata essenzialmente alla contestazione radicale della cosmologia aristotelica, in particolare alla distinzione dei corpi fra celesti e sublunari. Nella seconda e terza giornata cerca di dimostrare la possibilità dei moti terrestri, ricorrendo all’argomento della relatività del moto e ovviando con la dialettica alla mancanza di prove dirette. La quarta introduce, infine, quello che, per Galileo, è l’argomento più valido a sostegno dei movimenti terrestri: l’esistenza delle maree. Ma, ciò che è più importante è il tipo di argomentazioni usato costantemente dallo scienziato pisano. Anche se egli rimprovera spesso a Simplicio, per il tramite di Salviati, di fare uso di fioretti rettorici, non esita a servirsi degli stessi, quando se ne presenti l’occasione. Un esempio è piuttosto significativi a riguardo. Salviati cerca di mettere in difficoltà Simplicio, accusandolo di essere in disaccordo con le sue stesse premesse aristoteliche. Salviati: “non afferm’egli (Aristotele) che quello che l’esperienza e il senso ci dimostra, si deve anteporre a ogni discorso, ancorchè ne paresse assai ben fondato? e questo non lo dic’egli risolutamente e senza punto titubare?’’. Simplicio è costretto ad ammetterlo: “Dicelo”. Salviati allora affonda: “Adunque di queste due proposizioni, che sono ambedue dottrina d’Aristotile, questa seconda, che dice che bisogna anteporre il senso al discorso, è dottrina molto più ferma e risoluta che l’altra, che stima il cielo inalterabile. E però più aristotelicamente filosoferete dicendo: << il cielo è alterabile, perché così mi mostra il senso>>, che se direte: << il cielo è inalterabile, perché così persuade il discorso ad Aristotile>>”. In pratica lo mette in chiara difficoltà proprio utilizzando le stesse argomentazioni usate da Aristotele.

Il Dialogo si chiude astutamente con un’apertura conciliante nei confronti della dottrina della Chiesa. A Simplicio, che, pur riconoscendo l’ingegnosità dei discorsi di Salviati intorno alle maree, ha obiettato che la divinità avrebbe potuto dare origine a questi fenomeni anche in modi del tutto inconcepibili dalla mente umana, lo stesso Salviati (cioè Galileo) risponde: “Mirabile e veramente angelica dottrina …’’. A cui Sagredo aggiunge: “… Ed in tanto potremo, secondo il solito, andare a gustare de’ nostri freschi nella gondola che ci aspetta.’’

Nell’opera viene abbandonata la forma tradizionale di impianto scientifico e, scegliendo la forma del dialogo, si dà vita ad una vera e propria vivacissima “comedia filosofica”, in cui la tesi copernicana si nasconde e si vela sapientemente per sfuggire ai sospetti dell’Inquisizione. D’altra parte però, l’ironia generata dal confronto e dallo scontro tra i tre interlocutori mette in luce il suo vero scopo: la salda e razionale coscienza scientifica di Sagredo e Salviati contrapposta all’ingenuità ed all’ostinazione del personaggio quasi comico di Simplicio, “filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l’intelligenza del vero, che la fama acquistata nell’interpretazioni Aristoteliche”.

Purtroppo sono proprio le qualità artistiche del Dialogo, l’ ironia non troppo velata, la sottile e attenta caratterizzazione umana ed intellettuale dei personaggi, a rivelare ai contemporanei la portata rivoluzionaria dell’opera, ed a portare il suo autore ad un drammatico destino. Proprio nel ritratto di Simplicio, così audacemente ancorato nelle sue certezze, si riconoscerà il papa Urbano VIII. Quindi il Dialogo dei Massimi sistemi verrà sequestrato, Galileo processato e costretto ad abiurare. Come conseguenza la scienza italiana non troverà più sbocchi in patria ed i grandi progressi si svilupperanno al di fuori dei suoi confini.