L'Occhio infinito di Galileo - Aristarco di Samo e la teoria eliocentrica

Anche se di carattere non strettamente “astronomico” non si può tacere l’intuizione fisica di Empedocle di Agrigento (492 a.C. – 430 a.C.), secondo cui la velocità della luce era finita, per cui impiegava un certo tempo a percorrere una certa distanza.

Democrito di Abdera (460 a.C. – 380 a.C.) è considerato invece il più autorevole rappresentante della scuola atomistica. Ricollegandosi alla ricerca dell’arché, la sostanza primigenia, immaginò l’essenza del mondo composta da particelle di materia più o meno piccole, non ulteriormente divisibili: gli atomi. Secondo Democrito, tutto ciò che esisteva era prodotto dalle varie combinazioni degli atomi. Essi erano le uniche realtà durevoli, mentre l’esistenza del vuoto era condizione indispensabile al loro movimento. Democrito è anche considerato il primo pensatore ad aver introdotto il concetto di infinità del cosmo. Concepì inoltre la Via Lattea come una banda di luce costituita di stelle molto piccole e fittamente raggruppate. Elaborò anche un calendario astronomico di grande interesse perché vi erano descritti eventi astronomici collegati a fenomeni terrestri (ad esempio viene data una corretta interpretazione nell’associare l’inondazione del Nilo alla stagione delle piogge che si manifesta alle sue sorgenti).

Eraclide Pontico (385 a.C. – 322 a.C.) fu forse il primo a sostenere la teoria dei moti di Mercurio e Venere intorno al Sole, pur lasciando a quest’ultimo il suo moto intorno alla Terra, secondo lo schema della figura:

Secondo Eraclide Il Sole S gira intorno alla Terra T al pari della Luna L, ma Mercurio M e Venere V girano intorno al Sole, come forse anche gli altri pianeti.

Eraclide fu probabilmente indotto a quest’idea dalle scarse elongazioni (distanze apparenti dal Sole) dei due pianeti. Molti commentatori non escludono che Eraclide possa aver esteso i moti eliocentrici anche ai pianeti superiori, ma non esiste alcuna testimonianza in proposito.

Veramente fondamentale è stata la figura di Aristarco di Samo (310 a.C – 230 a.C.). A lui è riconosciuto il merito di essere stato il primo aperto sostenitore del moto della Terra intorno al suo asse e del moto di essa attorno al Sole. A lui cioè è dovuta la prima formulazione dell’ipotesi eliocentrica. Dato che la Terra si muoveva intorno al Sole lungo un cerchio, Aristarco ipotizzò che “le stelle, essendo fisse, avrebbero dovuto mostrare un moto annuo apparente nel cielo, a causa della variazione della posizione
della Terra rispetto a loro mentre compiva il suo moto intorno al Sole”. Questo movimento apparente avrebbe dovuto essere un’ellisse (a causa della direzione della stella rispetto al piano orbitale della Terra) ed è proprio quello che viene oggi chiamato parallasse annua. Dato che questo movimento non si osservava, egli concluse che le stelle fisse si dovevano trovare a distanze enormemente maggiori del diametro dell’orbita terrestre. Questa previsione estremamente azzardata per quei tempi e senza alcun riscontro osservativo era basata SOLO sulla ferrea convinzione del moto eliocentrico. Oggi sappiamo che è stata una delle più grandi intuizioni della mente umana, ma purtroppo idee così rivoluzionarie causarono ad Aristarco non poca avversione tra i contemporanei.

E’ obbligatorio però illustrare in maggiore dettaglio la teoria di Aristarco e per far ciò riprendiamo dalla meccanica celeste il concetto di parallasse. Si chiama parallasse annua di una stella A l’angolo sotto il quale dalla stella si vedrebbe il semiasse dell’orbita terrestre, supposto perpendicolare alla congiungente stella-Sole. A causa della parallasse, dato che l’osservatore si sposta sull’orbita terrestre, la stella A (estremamente lontana rispetto alle dimensioni dell’orbita terrestre), descrive apparentemente una piccolissima ellisse sulla sfera celeste. Talmente piccola che soltanto nel 1838 fu possibile determinare la parallasse annua della stella più vicina a noi. Quindi Aristarco aveva visto giusto più di duemila anni prima. La figura illustra la definizione di parallasse annua ed il procedimento che permette di calcolare la distanza di una stella.

Nella parte alta della figura si riporta la definizione di parallasse annua. La stella A vede il semiasse (praticamente il raggio dato che il moto è pressoché circolare) dell’orbita terrestre sotto un angolo π. Questo angolo si chiama parallasse annua ed a secondo della sua grandezza è in grado di definire la distanza dell’astro: più è piccolo e più lontana è la stella. In realtà quello che si osserva (dato che noi ci muoviamo con la Terra intorno al Sole) è riportato nella parte bassa della figura. Quando la Terra si trova in T’ vede la stella A proiettata sulla sfera celeste nel punto A’. Quando sei mesi dopo raggiunge T’’ vede la stessa stella proiettata in A’’. Nel giro di un anno la stella descrive la piccola ellisse di ampiezza 2π, dove π è proprio la parallasse annua. Misurando quest’angolo e conoscendo la distanza Terra-Sole è possibile calcolare la distanza d della stella, dal triangolo T’SA.

Altro motivo di enorme popolarità di cui gode Aristarco (presso i moderni) è che la sua opera Delle dimensioni e distanze di Sole e Luna è giunta fino a noi. Aristarco fu infatti il primo ad affrontare il problema di misurare geometricamente le distanze di Luna e Sole dalla Terra, nonché le dimensioni stesse dei due astri. Egli intuì correttamente che il problema richiedeva per prima cosa di misurare l’angolo tra Luna e Sole nell’istante esatto in cui la Luna si trovava in quadratura con il Sole, ossia quando la Luna era al primo o all’ultimo quarto. Questa configurazione implica il fatto che l’angolo Terra-Luna-Sole sia esattamente retto, ossia uguale a 90°, come riportato nella figura che segue:

Quando la Luna è in quadratura (al primo o all’ultimo quarto), l’angolo tra la Terra e il Sole deve essere di 90°. Misurando l’angolo tra Luna e Sole è quindi teoricamente possibile calcolare il rapporto tra le distanze della Luna e del Sole dalla Terra. Infatti, dalla trigonometria, TL = TS sin(TSL), cioè TL = TS sin (3°), da cui TS = 19.1 TL.

Secondo la misura di Aristarco l’angolo Sole-Terra-Luna risultò essere “meno di un quadrante di un trentesimo di quadrante”, in altre parole tre gradi meno di novanta gradi, cioè 87° (così ci si esprimeva a quei tempi, perché i gradi non erano ancora in uso in Grecia) e quindi l’angolo Luna-Sole-Terra risultava di 3°. Lavorando con il metodo euclideo (non conoscendo ancora la trigonometria) Aristarco determinò che la distanza Terra-Sole era “da 18 a 20 volte la distanza Terra-Luna” (trigonometricamente si otterrebbe 19.1). Ovviamente a quell’epoca la strumentazione di cui poteva disporre Aristarco era grossolanamente imprecisa, e sarebbe stato assolutamente impossibile per lui misurare l’effettivo angolo Sole-Terra-Luna che è invece di circa 89° 51’ (la distanza Terra-Sole, in effetti, è circa 390 volte quella tra la Terra e la Luna). Malgrado il risultato sia estremamente impreciso, resta indubbio il fatto che la strategia osservativa era perfettamente corretta e geniale. Sicuramente con gli strumenti di oggi Aristarco avrebbe ottenuto un risultato oltremodo preciso.

Il ragionamento successivo di Aristarco derivò dal fatto che, nelle eclissi totali di Sole, questo viene coperto per intero dalla Luna. Da ciò si poteva dedurre che i loro diametri apparenti erano eguali. Ne derivava una figura come quella che segue, in cui entrambi i raggi apparenti sottendono lo stesso angolo.

Durante le eclissi totali di Sole, i raggi apparenti del Sole e della Luna devono essere uguali. Dai triangoli simili TSH’ e TLH ne deriva che, come le distanze TS e TL, anche i raggi devono stare nel rapporto 19.1, perciò Il Sole doveva essere 19,1 volte più grande della Luna. Sebbene il procedimento fosse perfettamente corretto l’errore precedente si rifletteva anche in questo calcolo.

Allora, essendo la distanza Terra-Sole da 18 a 20 volte quella Terra-Luna, anche il raggio del Sole doveva essere da 18 a 20 volte quello della Luna. Ovviamente l’errore iniziale di misura si ripercuoteva nel calcolo delle misure dei raggi relativi. Risultati scadenti, ma intuizione perfetta.