VI Continente

“Uomo libero sempre tu amerai il mare! Il mare è il tuo specchio; tu miri, nello svolgersi infinito delle sue onde, la tua anima….Siete entrambi a un tempo tenebrosi e discreti: uomo nessuno ha mai misurato la profondità dei tuoi abissi: mare nessuno conosce le tue ricchezze segrete, tanto siete gelosi di conservare il vostro mistero.”

Da quando Baudelaire compose questi versi, attorno al 1860, se probabilmente poco è cambiato nella comprensione dell’animo umano, come anche la storia recente sembra insegnare, è invece cambiata radicalmente la conoscenza del mondo sottomarino. L’invenzione dell’autorespiratore ad aria ha reso possibile a migliaia di appassionati, ciò che per decenni era stato esclusivo appannaggio di pochi, intrepidi palombari. Oggi l’immersione subacquea, se fatta in maniera giudiziosa, è un’attività sicura e praticamente alla portata di tutti.

Contrariamente a quanto si crede, non è necessario immergersi a grandi profondità per scoprire le meraviglie del mare, né tantomeno sono richieste attrezzature sofisticate e costose. Il modo migliore per iniziare l’esplorazione del sesto continente è quello di munirsi di una maschera e di un paio di pinne e iniziare a girovagare lungo la scogliera. Inizialmente si vedranno solo rocce e qualche pescetto non ben identificato, ma poi imparando a muoversi con cautela e soprattutto ad osservare con attenzione il fondo, si avranno delle bellissime sorprese, che di volta in volta potranno avere le sembianze di un polpo (Octopus vulgaris) all’imboccatura della sua tana, o di una parete ricoperta di splendide spugne multicolori.

Un buon testo di biologia marina vi permetterà il riconoscimento delle varie specie e le peculiarità di ognuna. Imparare poi il nome latino, che è il nome scientifico e quindi universale, vi consentirà  di scambiare le vostre impressioni anche con appassionati stranieri.

Per rendere piacevole questa attività, è bene che l’attrezzatura soddisfi  a  certe caratteristiche. In particolare, le pinne non devono essere troppo lunghe né troppo rigide, in modo da non provocare dolorosi crampi. La maschera deve adattarsi bene al volto per non lasciare filtrare acqua, cosa che costringerebbe a continui svuotamenti e disturberebbe l’osservazione. Il mercato offre un’ampia scelta di modelli di struttura e qualità differente. In linea di massima sono indicate le maschere in silicone a vetro unico, che permettono un’ampia visione subacquea. Se si hanno problemi di vista sono preferibili quelle a due vetri, che possono montare delle lenti correttive, come se fossero dei comuni occhiali.

Chi invece vuol dedicarsi all'apnea a maggiori profondità è bene che scelta un paio di pinne con la pala lunga e abbastanza robusta ed una maschera bioculare a ridotto volume interno. Da abbinare alla maschera è l’aeratore, detto anche snorkel da cui il nome di snorkeling, dato all’estero a questa attività. Si tratta di un tubo che consente di respirare senza sollevare ogni volta la testa dall’acqua. Esistono anche in questo caso centinaia di modelli, ma ciò che conta è che il boccaglio sia in materiale morbido e anallergico per non irritare le gengive, e che non ci siano corrugamenti interni che favorirebbero il ristagno di acqua.

Se si prevede di restare in acqua per molto tempo, allora è consigliabile anche una muta in neoprene, magari un corpetto a mezze maniche, che mantenga al caldo il torace senza essere eccessivamente ingombrante. Dato che il neoprene è un materiale spugnoso che contiene al suo interno migliaia di minuscole bollicine di gas, è necessario aggiungere una zavorra di qualche chilogrammo, solitamente una cintura con piombi da un chilo, per evitare di galleggiare come un pezzetto di sughero. Una finezza può essere la scelta di una muta con fodera mimetica, che sicuramente aiuta nell'avvicinarsi ai pesci più sospettosi e diffidenti.

A questa attrezzatura di base è obbligatorio, soprattutto se si pratica l'apnea, aggiungere un coltello e la boa segnasub. Il primo non serve per difendersi dai mostri del mare, come si potrebbe pensare di primo acchito, bensì da nemici più pericolosi e spesso invisibili, rappresentati da lenze e pezzi di rete, nei quali ci si può impigliare e da cui è difficile liberarsi a mani nude.

Il pallone segnasub è obbligatorio per legge solo se ci si immerge in apnea, ma è bene portarlo sempre con sé, per evitare di essere investiti da una barca guidata da qualche capitano della domenica, che spesso ignora che, per esempio, non ci si può avvicinare sottocosta a motore acceso. La boa, infatti,  serve ad indicare la presenza di un subacqueo e quindi impone l’osservanza di una distanza di sicurezza di cinquanta metri, che tutte le imbarcazioni sono tenute a rispettare.

Indossata l’attrezzatura è il momento di entrare in acqua. Non bisogna tuffarsi, pena l’allontanamento dalla zona di tutti i pesci presenti. Il mondo sottomarino è il regno del silenzio e dei rumori ovattati e qualsiasi altro rumore viene interpretato dagli intelligenti pinnuti come un pericolo. Si entra in acqua scivolando lentamente sulle rocce, si pinneggia senza sbattere le pinne, con un movimento fluido che produca al massimo un rumore simile a quello della lieve risacca. Se ci si trova al cospetto di qualche bel pesce di buona taglia, diciamo superiore a tre-quattrocento grammi, è tassativo evitare qualsiasi movimento brusco. Solo così si avrà la possibilità di osservare le splendide iridescenze della livrea, o i cangianti colori dell’occhio, particolarmente evidenti per esempio negli sciarrani (Serranus scriba o cabrilla).

Una nuvoletta sul fondo tradirà un gruppetto di triglie (Mullus surmuletus), che grufolano tra i sedimenti coi loro lunghi barbigli alla ricerca di piccoli invertebrati di cui sono ghiotte. Un riflesso dorato in prossimità della superficie è invece il carattere distintivo di un plotone di salpe (Sarpa salpa) intento a mangiucchiare alghe appetitose. Se non le si spaventa si può assistere ad uno spettacolo incredibile: come guidati da un invisibile direttore d’orchestra, decine di individui si muovono all’unisono, compiendo delle virate a destra e sinistra come aerei in formazione. E’ sufficiente che una si spaventi perché l’intero battaglione prenda precipitosamente la via del largo.

 Osservando con attenzione nei fori della roccia, non è difficile scorgere il simpatico musetto di un ghiozzetto (Gobius cruentatus) o di una bavosa gattoruggine (Parablennius gattoruggine) o della sorprendente bavosa gote gialle (Parablennius canevae) che a volte riposa sdraiata tra le alghe a pelo d’acqua. Sarà sufficiente offrire loro la polpa di una patella per farseli amici.

Con lo stesso sistema potete indurre un pomodoro di mare (Actinia equina), un’attinia che effettivamente assomiglia ad un pomodoro maturo, ad aprire i suoi tentacoli di un bel rosso vivo.

Un sistema infallibile per far scappare i pesci è quello di andargli incontro nel tentativo, vano, di ridurre le distanze. In questa situazione l’uomo mostra tutta la sua inadeguatezza al mondo acquatico, e qualsiasi pesce riesce ad allontanarsi ad una velocità di gran lunga superiore a quella raggiungibile da un campione olimpionico.  Se invece si farà finta di interessarsi ad altro, sarà il pinnuto di turno ad avvicinarsi con circospezione, anche se mai al di sotto di una certa distanza di sicurezza. Naturalmente, quanto appena detto, vale in quei tratti di mare dove decenni di pesca subacquea indiscriminata, spesso fatta in spregio a tutte le leggi vigenti, hanno seminato il terrore.

E’ utile ricordare, a questo proposito, che la pesca subacquea può essere esercitata solo in apnea e comunque rispettando le taglie minime dei pesci; quando ciò avviene l’impatto ambientale di tale pratica è irrilevante. Il prelievo ittico di un buon pescatore subacqueo in anni di attività, non è neppure lontanamente confrontabile con quello di un qualsiasi peschereccio a strascico  in poche uscite in mare.  E’ assolutamente da condannare invece la pesca fatta con le bombole, che seppur vietata da un trentennio, continua ad essere praticata da personaggi senza scrupoli.  Grazie al loro operato, pesci come le cernie (Epinephelus marginatus) hanno subito una drastica riduzione, tanto da far temere in più occasioni per la sopravvivenza della specie.

Allo stesso modo, altri, armati di martelli pneumatici, hanno devastato chilometri di costa per estrarre i datteri di mare (Lithophaga lithophaga) dalle loro tane nella roccia, pazientemente scavate in decine di anni. Un dattero di circa cinque centimetri, impiega almeno quindici anni per raggiungere tale dimensione, mentre sono sufficienti pochi secondi per demolire la sua costruzione. Inoltre, la roccia messa a nudo non costituirà più un substrato idoneo all’insediamento di altre forme di vita sessili, in quanto i ricci presenti (Arbacia lixula; Paracentrotus lividus) si ciberanno di esse, rendendo così la zona simile ad un paesaggio lunare.

Se qualcuno vi offre un piatto a base di datteri, sappiate che state commettendo un’illegalità, e cosa ancor più deplorevole, avete contribuito alla desertificazione di un tratto di costa, altrimenti rigogliosa di vita.

In posti dove invece la convivenza tra uomini e pesci è stata più pacifica, si può assistere a spettacoli straordinari, come ritrovarsi circondati da migliaia di latterini (Atherina boyeri), occhiate (Oblata melanura), boghe (Boops boops) e castagnole (Chromis chromis), assistere alla lenta risalita dal fondo di famiglie di saraghi (Diplodus sargus), all’incedere regale di un’orata (Sparus aurata) e nei periodi di passo, al possente nuoto di splendide ricciole (Seriola dumerili) e, nei casi più fortunati, perfino di maestosi tonni (Thunnus thynnus).

Per quanto possa sembrare incredibile, i fondali del Capo di Leuca sono particolarmente indicati per l’avvistamento dei grandi pelagici, soprattutto sul versante adriatico. In molte zone, infatti, la costa si immerge verticalmente nel blu seguendo il profilo della falesia soprastante, raggiungendo profondità superiori a quindici metri, praticamente ad un metro da riva.

Inoltre la presenza di correnti, che possono diventare dei veri e propri fiumi, come avviene davanti a Punta Meliso, crea le condizioni ideali per la caccia di questi magnifici predoni del mare che a volte inseguono i malcapitati pesci di cui si cibano, fino al bagnasciuga. Soprattutto col mare calmo e verso il tramonto, non è raro vedere saltare fuori dall’acqua decine di aguglie (Belone belone) o di cefali (Mugil cephalus), inseguite da qualche ricciola o da qualche tonnetto, di cui a volte si vede persino la pinna dorsale solcare l’acqua, placida fino a pochi istanti prima.

Quanto detto finora, è solo una parte infinitesima dell’incredibile spettacolo che può offrire il nostro mare, un mare che però è molto delicato e che avrebbe urgente bisogno di maggior tutela. E’ sufficiente che una petroliera sversi in mare modeste quantità di petrolio, perché gran parte degli organismi che abitano la fascia costiera muoiano, soffocati dal catrame.

Se il controllo del traffico marittimo spetta alle autorità preposte, ognuno di noi nel suo piccolo può contribuire alla salvaguardia del tratto di costa preferito. Non lasciare rifiuti di nessun tipo, raccogliere  e portare al più vicino contenitore, quelli lasciati da altri meno sensibili, evitare di mangiare specie protette, per impedire che fiorisca il mercato clandestino delle stesse, sono alcuni accorgimenti che chiunque può adottare.

Più di tutto sarebbe auspicabile incentivare la conoscenza del mare e dei suoi abitanti. Non si può amare ciò che non si conosce.

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Autori: Cesare Bortone, Marcella D’Elia, Antonio Franco, Antonio Imperio, Cataldo Licchelli, Domenico Licchelli, Donato Margapoti, Enrico Pati, Fabio Vitale







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