"Il fondo marino, bisogna ammetterlo, non è niente male come
posto dove starsene tranquilli. ….Preferisco l’apnea, anzi la
considero la regola essenziale delle immersioni. Si affronta l’acqua
ad armi pari, senza trucchi. Vai giù come un nasello o un
capodoglio, con quello che ci sta nei tuoi polmoni e basta.
Allora
puoi dire a ragione: si questo è un posto mio. Lo puoi fare solo per
due minuti? Va bene, vuol dire che è il tuo posto dei due minuti.
Per una grossa balena il mare è il suo posto dei venti minuti, per
un’acciuga è il suo posto di un anno, ma è solo una differenza di
quantità. E’ l’essenza, è la qualità soggiacente, che conta nella
vita, penso io. …. Non c’è ballerina del ventre, nemmeno la più
esperta del Cairo, che possa rivaleggiare con la grazia di un buon
apneista in immersione. La tendenza del corpo umano pieno d’aria a
risalire a galla è solo questione dei primi metri, poi la pressione
dell’acqua crea un equilibrio perfetto e lo sforzo di discesa è
quasi nullo. E’ a questo punto che fa il suo ingresso in scena
qualcosa di straordinariamente bello e terribilmente pericoloso:
l’euforia. Così la chiamano i dottori, quelli che studiano queste
cose: euforia. Io la chiamo: la mia parte di Dio. O, a seconda degli
umori, la mia parte di anarchia. C’è una spiegazione fisiologica, ma
non è questo il punto.
Quello che conta è l’effetto, e l’effetto è
che quando sei giù verso i dieci, dodici metri, ed è già passato un
minuto buono, tu sei realmente un pezzo di mare, un pezzo
provvisorio che solo per volontà molto ferrea può cessare di
esserlo, perché nulla ti spinge più verso l’alto, verso la terra e
l’aria, ma un moto dolce e universale ti impresta le ali di una
manta e ti porta piano piano ancora più giù, fino all’altra terra,
al continente di sotto. Ecco,
quando questo accade, la riserva di aria dei tuoi polmoni, ormai
povera di ossigeno, si combina con qualcosa che secerni dalle
ghiandole o che so io, e ne viene fuori una miscela simile ad una
droga. Quello che senti è di essere felice e infinito, totalmente
felice, totalmente libero. Io avevo l’abitudine di scegliermi un
posticino sul fondo, un buon letto di alghe soffici, con qualche
sasso dove ancorarmi, e restavo inerte, animato solo dalla leggera
corrente che solletica dolcemente i fondali, a osservare il
continente di sotto. Guardare in alto, verso la luce che filtra,
verso l’altra parte del mondo, con tutto quello che sai
che c’è, ti
dà la vertigine di una lontananza irrimediabile. ….Il cielo d’aria
che hai dentro i polmoni immensi non fa più bene il suo lavoro per
nutrire di coscienza il cervello. Sei più stupido dei pesci che
guardi passare, e i pesci non ti scansano né fuggono via impauriti:
sanno che non sei più un cacciatore carnivoro. Hai
ancora un minuto, cinquanta secondi e nessun orologio per contarli.
Ma la tua coscienza è altrove, non è nel tempo. Ogni volta mi sono
stupito di questo, di come là sotto non c’è il tempo nostro, ma
qualcosa che non ho mai capito: il tempo di Dio, la mia parte del
tempo di Dio, e qualcosa del suo essere ovunque e ogni cosa.
Immobile, spalmato sul letto di alghe, accarezzi il dorso di una
grossa salpa che pascola l’erbetta, fissi gli occhi, di una murena
che sporge il muso dalla sua tana e ti mostra fiera la sua dentatura
orrenda. Non so come ho fatto ogni volta a tornare indietro. Non è
mai stato spirito di sopravvivenza o cose del genere. Non mi sono
mai accorto di pensare: “Ecco, o torno su o muoio e allora è meglio
che torni”. Se avessi potuto scegliere, credo che ogni volta sarei
rimasto;
invece qualcuno da qualche parte dentro o fuori di me dava
un colpo deciso alle pinne che portavo ai piedi, e il mio corpo
iniziava la risalita. Senza fretta, con il rammarico di lasciarmi
dietro la mia parte di Dio, la mia parte di anarchia, mentre la
dolce incoscienza cominciava a trasformarsi in un sordo bruciore nel
petto. Gli
ultimi metri, quando la luce diventava abbastanza forte da farmi
male agli occhi, gonfi come quelli di un rospo e pieni di sangue, e
i polmoni erano un urlo di dolore che mi svegliava del tutto, avevo
già nostalgia di tornare laggiù. E spingevo a più non posso verso la
superficie per non morire lì a mezz’acqua, per potermi riempire di
nuovo di aria e rifarmi forte abbastanza per ritornare laggiù".
Il coraggio del pettirosso – Maurizio Maggiani - Feltrinelli